I problemi fisici di un pilota di velocità (parte 1)

In questo articolo cercheremo di esaminare alcune problematiche fisiche che piloti amatoriali e professionisti possono riscontrare guidando una motocicletta. Indubbiamente le moto moderne sono diventate estremamente potenti ed è innegabile come le alte velocità, associate a continue accelerazioni, decelerazioni e cambi di direzione possano comportare un rischio notevole per la salute articolare. Le variazioni di posizione nello spazio, il variare delle forze G che agiscono sul sistema moto-pilota e le continue contrazioni muscolari che permettono al centauro di restare in sella; determinano notevole stress sia a livello muscolare che articolare.

Nel caso di un professionista, questi non può fare a meno di impostare una routine di allenamento che gli consenta di gestire al meglio il proprio fisico durante la guida. Per un amatore, o semplicemente per un motociclista domenicale questo articolo può avere una valenza ancor maggiore. Pensateci, se anche i professionisti, i quali possiedono una moto sicura settata da pista e inoltre, hanno una tecnica di guida pulita e fluida possono essere vittime di dolori e traumi durante la guida pensate ciò che può accadere ad un amatore. Gli amatori al massimo hanno seguito un corso di guida sicura per cui non hanno una tecnica di guida pulitissima e soprattutto non hanno la stessa capacità di un professionista di gestire il proprio fisico durante la pistata. Con amatori si vuole sempre intendere quel gruppo di motociclisti che si organizzano e girano liberamente in pista, con la propria moto stradale leggermente preparata per la pista.

Per cui invito tutti voi motocilisti di velocità con moto da oltre 200cv, voi motociclisti over 50 anche detti: “della domenica”, e te che vai in pista due volte al mese e ne esci distrutto ogni volta, a leggere attentamente quanto segue.

Dolore alle spalle

La spalla è una regione anatomica molto particolare, composta da un complesso sistema di muscoli, legamenti e articolazioni. Questo sistema, lo si definisce con il termine: “cingolo scapolo-omerale” ed è deputato alla regolazione della mobilità reciproca tra il tronco e l’arto superiore. Come accennato in fase iniziale le continue accelerazioni, decelerazioni e cambi di direzione determinano uno stress articolare sempre maggiore. Questo continuo stress a lungo andare può inficiare in fenomeni infiammatori e/o nei casi più gravi: distorsione (perdita momentanea dei rapporti articolari) ed anche lussazione (perdita permanente dei rapporti articolari). Ovviamente ciò non è una regola ma dati alla mano, non è raro imbattersi in piloti di ogni genere e di ogni categoria che soffrono di dolori alla spalla. Questo aspetto si riscontra maggiormente nelle categorie ludiche-amatoriali (piloti domenicali), soprattutto dai 50 anni in su. È facile pensare come la salute dell’articolazione della spalla di un 50enne sia diversa da quella di un giovane pilota, per ovvi motivi.


Detto e considerato ciò è facile capire come sia assolutamente necessario preservare l’articolazione della spalla poiché questa necessita di muscoli forti, resistenti, stabili e veloci. L’equilibrio dell’articolazione è garantito dall’azione sinergica dei muscoli stabilizzatori e da quelli della cuffia dei rotatori. Muscoli forti garantiranno una corretta gestione delle forze stressanti agenti sull’articolazione e saranno in grado di dissipare al meglio le forze stresso gene che si instaurano su di essa, specialmente durante i movimenti di frenata.

Diamo due dati per meglio comprendere di cosa stiamo parlando: durante una gara professionistica, più del 25% delle frenate avvengono con un’intensità superiore a 1G. Una ogni quattro frenate genera sollecitazioni inerziali superiori a 10 m.s.-2. Emblematica è anche la fase di inserimento in curva in cui il pilota sposta il proprio corpo verso il centro della curva, portando la moto in piega, “caricando” sulla spalla.

Quindi è necessario che un pilota abbia un idoneo trofismo dei muscoli scapolo-omerali, specie del deltoide. Tuttavia per evitare l’insorgere di un conflitto articolare (impingement sottoacromiale), è bene che la forza elevatrice del deltoide venga adeguatamente contrastata da quella depressiva della cuffia dei rotatori (buona strategia tonificarla attraverso esercizi di intra-extra rotazione dell’omero).

In base alla natura acuta o cronica del conflitto articolare è sempre meglio lavorare prima in extra rotazione e solo dopo in intra rotazione. Anche questa non è una regola ma va sempre contestualizzata, infatti l’extra rotazione forzata, in alcuni soggetti, può favorire impingement interno che provoca forzature della spalla e dei suoi tessuti molli. Nei casi di soggetti con deltoide debole è consigliato lavorare sull’abduzione da 0 a 90gradi in modo da sollecitare adeguatamente fasci anteriori e intermedi del muscolo stesso.

Entrando nel pratico, in soggetti con dolore alla spalla dobbiamo assolutamente evitare esercizi con extra rotazioni eccessive: lento dietro, lat machine alla nuca etc. Occhio alle alzate laterali, le quali si consiglia di eseguirle in posizione neutra. Infatti l’associazione di abduzione e rotazione nelle alzate laterali riduce lo spazio sub acromiale tirando i tessuti molli e comprimendoli. Con un idoneo percorso si potranno impostare più avanti delle alzate laterali in extra rotazione per enfatizzare l’azione del deltoide anteriore e se tutto procede per il meglio, si potranno impostare alzate laterali in intra rotazione per coinvolgere maggiormente deltoide posteriore ed intermedio.

Stiamo parlando di concetti complessi e non è semplice renderli facili e alla portata di tutti. In sintesi possiamo dire che è importante avere un deltoide performante ma che non determini conflitti articolari interni e/o dolore all’articolazione.

Stiamo parlando di concetti complessi e non è semplice renderli facili e alla portata di tutti. In sintesi possiamo dire che è importante avere un deltoide performante ma che non determini conflitti articolari interni e/o dolore all’articolazione.

La valutazione della mobilità della spalla e della stabilità scapolare saranno fondamentali. Per valutare la mobilità passiva della spalla possiamo servirci di un semplice test, in cui il pilota, in decubito supino, porta le braccia distese sopra la testa. Se, nel momento in cui l’operatore esercita una pressione sull’arto verso il basso, l’atleta sente un dolore irradiarsi lungo il braccio, molto probabilmente il dolore è determinato da una rigidità della capsula articolare. Tale rigidità limita l’Intra rotazione e determina alterazione del centro di rotazione della testa omerale. La rigidità può essere dovuta all’assenza di stretching statico nel piano d’allenamento, ad un infortunio pregresso o ad un blocco osseo legato a cause congenite. In ogni caso è importante recuperare la mobilità per un corretto funzionamento delle spalle.

Di pari passo valutare la stabilità scapolare, osservando posteriormente la persona a torso nudo mentre, abduce e extra ruota l’arto superiore, sarà utile per capire come si comporta la scapola. Nello specifico, una discinesia scapolare può presentarsi nel movimento: sul pianto sagittale (anteposizione dell’omero), il muscolo debole sarà il gran dentato, sul piano frontale (abduzione dell’omero), il responsabile sarà il trapezio, sul piano trasversale (extra rotazione omerale), il muscolo interessato sarà il romboide. Ovviamente tutto va personalizzato e adattato alla persona che abbiamo dinanzi, non prendiamo queste parole per oro colato.

Come ultimo aspetto sottolineiamo anche quello legato alla postura. La tecnica di guida per una moto da corsa prevede il mantenimento di una posizione rannicchiata, con il casco subito sotto il cupolino. È facile intuire come il mantenimento reiterato nel tempo di tale posizione innaturale può provocare dolore alla schiena, soprattutto se la spalla non funziona adeguatamente. Per questi soggetti impostare un ciclo di ginnastica posturale-correttiva può essere una buona idea. Per cui ragioniamo sempre in maniera complessiva e non soffermiamoci solo su un distretto anatomico. Non dimentichiamo che nel nostro corpo è tutto maledettamente collegato.

 

Dolore alla schiena

Abbiamo accennato in fase finale del paragrafo precedente come spesso dolori alla spalla possano inficiare problematiche anche a livello della schiena. Facciamo un breve preambolo.

Nella società odierna dati alla mano 1 persona su 4 soffre o ha sofferto di problemi alla schiena, di qualsiasi natura. Le cause sono molteplici e spesso ci si consola dando la colpa alla genetica, che spesso rappresenta la via di fuga per molti trainer e molti medici che non sanno risolvere il problema del cliente. È anche vero che spesso molti problemi alla schiena non possono essere risolti ma solo alleviati. È il caso dei fenomeni scoliotici ad esempio.

Il problema è a monte! Il problema nasce da una precaria educazione fisico-motoria e da posture sbagliate reiterate nel tempo. Basti pensare ai lavori in ufficio che richiedono il mantenimento di posizioni sedute per diverse ore oppure pensiamo a chi guida per ore e ore. Tutto ciò porta ad assumere una postura chiusa, con scapole spesso alate, spalle in elevazione e anteposizione. Tutto ciò a lungo andare può determinare: dolore cervicale, debolezza dei muscoli della schiena (specie del trapezio medio) e magari anche leggero dolore lombare. Questo appena descritto rappresenta il primo caso. Il secondo caso di cattiva educazione motoria riguarda tutti coloro i quali sollevano carichi ingenti per lavoro o non. Muratori, pittori, falegnami e chi più ne ha più ne metta. Il problema è che ancora oggi non si riesce a meccanicizzare il movimento di accosciata e caricamento, come movimento utile per sollevare carichi da terra e proiettarli verso l’alto. La reiterazione di movimenti sbagliati con sollevamento dei carichi a gambe tese porta notevole stress a livello lombare provocando in molti casi discopatie, ernie etc.

Fatto questo preambolo dobbiamo immaginare come anche i piloti, da quello ludico a quello professionista, rientrino, chi più chi meno, in queste categorie. Quindi sono persone “normali”, che soffrono di mal di schiena, che vanno in moto e vedono il mal di schiena aumentare. Dando un occhio alla tecnica di guida di una moto da corsa è facile notare come il pilota assuma una posizione “strana”, in una posizione costantemente incurvata in avanti, in flessione a livello lombare e dorsale, mentre a livello cervicale avrà una tendenza all’estensione. Biomeccanicamente questa posizione non permette un’adeguata distribuzione delle forze di carico a livello vertebrale e questo basterebbe per rispondere al perché spesso fa male la schiena dopo un giro in moto.

Tale funzione “ammortizzante”, ricoperta dal rachide è permessa sia dalla presenza di numerosi muscoli posturali interni (tra tutti il multifido), dal disco intervertebrale (il nucleo assorbe il 75% dei carichi, l’anello fibroso il 25%) ma soprattutto dalla conformazione anatomica delle vertebre stesse. Sappiamo tutti come la colonna vertebrale non sia in realtà dritta ma presenta delle curvature (lordosi cervicale, cifosi toracica e lordosi lombare). Tali curve, così descritte fisiologicamente, aumentano la resistenza alle sollecitazioni vertebrali, contribuiscono al mantenimento dell’equilibrio nella stazione eretta, assorbono gli urti e proteggono le vertebre da possibili fratture.

Per un pilota che corre su pista, il costante mantenimento di una postura in flessione, abbiamo ormai capito, come crei una pressione costante sulla porzione posteriore del disco intervertebrale. In un primo momento si avrà una modificazione morfologica dello stesso che tenderà a spostare il nucleo polposo verso l’esterno (protrusione), sino a giungere anche una possibile lesione dello stesso. Nei casi più gravi il nucleo fuoriesce dal disco (erniazione), sfrega il legamento posteriore che essendo innervato, causa una sintomatologia molto dolorosa. La protrusione vizierà l’atteggiamento posturale del pilota. Tuttavia se la protrusione interessa la porzione centrale del disco, l’atleta tende ad assumere una postura incurvata anteriormente, mentre se interessa la parte postero-laterale, l’atteggiamento riscontrato sarà quello scoliotico. Ancora una volta rimarchiamo l’importanza della valutazione iniziale col fine di stilare un protocollo di intervento.

Fino a questo punto, attraverso un opportuno trattamento, la patologia è recuperabile perché la funzionalità del disco non è compromessa (come lo è nel caso di ernie). Attenuato il dolore acuto, si può proseguire con esercizi di ginnastica dolce che tendono all’estensione della colonna riposizionando nella giusta sede il nucleo polposo.

Metodica McKenzie e ginnastica dolce

Se tu lettore ti ritrovi nelle sintomatologie fin qui dette, ti chiedo un ultimo sforzo per leggere quanto segue. Viene ora proposto un intervento pratico attuabile attraverso metodica McKenzie:

  • Da sdraiato prono: proposta all’inizio del trattamento con l’obiettivo di disorganizzare fisiologicamente le naturali curve del rachide. L’atleta mantiene la posizione sdraiata prono per 5-10 minuti in modo rilassato, con le braccia lungo il corpo, mentre esegue una respirazione lenta e controllata.
  • Da sdraiato prono in appoggio sui gomiti: tollerata la precedente posizione, si passa allo spostamento lento dei gomiti sotto le spalle, in modo da sollevare passivamente il busto. Mantenere la posizione per 5-8 minuti, riposo per poi eseguire una seconda serie.
  • Da sdraiato prono in appoggio sulle mani e distendendo le braccia: l’atleta appoggia i palmi delle mani e facendo pressione, solleva il busto. È importante che il rachide si estenda solo grazie alla forza delle braccia cioè passivamente. Ripetere l’esercizio per 8-10 volte mantenendo la massima posizione di estensione per qualche secondo.

Come ogni cosa non va assolutamente preso per legge assoluta. Ricordiamo ancora una volta quanto i metodi schematizzati nei vari articoli proposti vadano personalizzati in base alle esigenze del cliente e alle sue capacità psico-fisiche.

Il recupero funzionale dell’estensione del rachide richiede anche rinforzo della muscolatura del bacino e del tratto lombare. Il retto femorale svolge un ruolo importante, facilitando l’antiversione del bacino e agevolando il mantenimento dell’estensione acquisita con la precedente metodica. L’allungamento degli ischio-crurali consentirà di ostacolare l’azione di retroversione del bacino.

Se vuoi approfondire la cosa contattami e ti fornirò esercizi pratici anche da svolgere in palestra per migliorare il tuo mal di schiena.

Conclusione

Termina qui la prima parte del nostro articolo trattante la sintomatologia di un pilota. Ovviamente quanto detto rappresenta solo alcuni casi e solo alcune delle tante problematiche che possono riguardare un pilota e non. Si è volontariamente omessa la trattazione riguardante dolori inficiati da traumi come ad esempio le cadute, quali possono essere causa scatenante di lussazioni alla spalla.

Nella seconda parte ci soffermeremo su quella che è senza dubbio, dati alla mano, il dolore cui soffrono tantissimi motociclisti ovvero: la sindrome compartimentale cronica degli avambracci.

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